di Ciro Battifarano
Vittoria in tre set per Novak Djokovic che raggiunge Pete Sampras a quota 14 Slam. Juan Martin del Potro oppone una fiera e generosa resistenza, ma il serbo, salvo qualche momento di buio, sembra essere tornato il dominatore di due anni fa.
[6] N. Djokovic b. [3] J. M. del Potro 6-3 7-6(4) 6-3
Dopo il 2015, successo di Djokovic su Federer, torna in scena agli US Open una finale tra giocatori che già hanno vinto il torneo. I protagonisti della finale odierna, Juan Martin del Potro e Novak Djokovic, sono gli unici due ad aver battuto Roger Federer in finale a Flushing Meadows. L’argentino c’era riuscito nel 2009, interrompendo a quota 40 la striscia vincente di Federer da queste parti. Da allora, anche complici gli infiniti problemi di salute, del Potro non aveva più disputato una finale Major.
Nel 2016 però la torre di Tandil è tornata a calcare i campi da tennis con costanza e (con un doppio tie-break) a Rio fermò all’esordio i sogni d’oro olimpici di Novak Djokovic, così come gli aveva negato il bis del bronzo 4 anni prima a Londra. Quattro in totale le vittorie di del Potro negli scontri diretti contro Djokovic, alle 2 olimpiche si aggiungono una vittoria in Davis nel 2011 e la semifinale di Indian Wells nel 2013. Le altre 14 sfide che dal 2007 li hanno visti protagonisti hanno visto il successo del tennista serbo, comprese le ultime tre disputate lo scorso anno, ma sette delle ultime nove sfide Novak le ha vinte solo al set decisivo (su tutte molti ricorderanno l’estenuante semifinale di Wimbledon 2013, dalla quale Djokovic uscì cotto accusando il colpo in finale contro Murray).
Del Potro torna così a giocare una finale Slam dopo nove anni e 22 tentativi, maggior intervallo tra primo e secondo successo Slam (Safin aveva giocato 14 tornei tra il successo allo US Open 2000 e l’Australian Open 2015 mentre Djokovic aveva dovuto provarci dodici volte tra l’Australian Open 2008 e l’Australian Open 11. Da allora il serbo di finali ne ha disputate altre venti, quella odierna è la n. 23, terzo dietro Federer (30) e Nadal (24). Nel computo dei titoli insegue al terzo posto Sampras a quota 14, con Nadal a quota 17 e Federer a quota 20. Lo score di vittorie in finale però a Flushing Meadows non è dei migliori, raggiunge a quota 8 Sampras e Lendl, ma ben cinque volte è uscito sconfitto dalla battaglia per il trofeo.
Un vero favorito della vigilia non c’è. Nole, con quella odierna, ha raggiunto la finale in 4 degli ultimi 5 tornei disputati, mancando l’appuntamento solo in Canada. I titoli di Wimbledon e Cincinnati non sono abbastanza però per garantire un suo ritorno ai livelli a cui ci aveva abituati e nemmeno i 13 set consecutivi vinti dal secondo turno alla finale: un tabellone facile e tanti altri i dubbi su di lui. Juan Martin forse nel torneo ha entusiasmato di più e in semifinale, seppur in circostanze particolari, ha superato quello scoglio che lo aveva eliminato in tre degli ultimi quattro slam. A New York piove, il tetto è chiuso, il campo lento potrebbe aiutare di più l’argentino, come la tifoseria fedele e tutt’altro che silenziosa che lo accompagna. Ma se la partita dovesse prendere una piega lunga, l’ago della bilancia potrebbe tornare a pendere sul versante serbo.
Non resta che aspettare che entrino in campo. L’inizio viene leggermente ritardato dal protrarsi al terzo della finale di doppio femminile (per la cronaca vinta da Vandeweghe e Barty). Ore 16:30 (orario USA) si inizia con Djokovic alla battuta. Preciso al servizio e propositivo nello scambio, il serbo parte senza intoppi. Del Potro è più guardingo, non spinge troppo al servizio per evitare di doversi sottoporre a pericolose seconde, cerca di controllare gli scambi rallentando sulla diagonale del rovescio (tattica vincente a Rio 2016), cercando di togliere ritmo all’avversario. L’equilibrio dura fino al 4-3 per Djokovic. Nell’ottavo gioco il serbo, sotto 40-0, ha trovato le misure ai colpi attendisti di del Potro ed entra con sicurezza in partita: partendo da risposte impeccabili, riesce a spostare l’inerzia degli scambi dalla sua, uccidendo sul nascere anche i tentativi di contropiede dell’argentino che subisce cinque punti consecutivi ed il break che manda Djokovic a servire per il set, conquistato senza problemi poco dopo.
Del Potro realizza di dover cambiare qualcosa nella strategia di gioco, inizia a forzare col servizio e a tirare le ben note sassate di dritto. Dall’altra parte però Djokovic è galvanizzato dalla conquista del primo parziale e rimanda dall’altra parte della rete tutto, i colpi vengono fuori fluidi e sicuri, compreso lo smash che tante volte lo ha tradito, fino a trovare il break nel terzo gioco. Del Potro pare scoraggiato ma uno che non si è dato per vinto davanti a tanta mala sorte ed infortuni non si tira indietro. Aggiunge altro peso alla palla, non perde terreno nel punteggio e nel sesto gioco approfitta di un momento di tensione di Djokovic e recupera il break portandosi poco dopo avanti nel punteggio tenendo il servizio a zero. Qui probabilmente l’occasione più ghiotta per l’argentino, un gioco fiume in cui RoboNole si incarta, tante seconde e un rovescio ballerino che offrono a del Potro tre palle per il break che lo porterebbe a servire sul 5-3 ma non ne approfitta. Il gioco, dopo 20 minuti e 22 punti, va a Nole che impatta sul 4 pari. In qualche modo l’ex numero 1 del mondo ritrova calma, anche avanzando più spesso a rete e riesce a portare il set al tie-break. Nei loro otto precedenti giochi decisivi giocati, si sono spartiti la posta in palio, quest’anno del Potro vanta nei tie-break un prestigioso score di 20 vinti e 9 persi mentre Djokovic ne ha vinti solo 10 e persi 9. Entrambi però non partono col piede giusto, sbagliano i colpi a loro più congeniali, ma alla fine è il dritto di un del Potro evidentemente più stanco a ballare e a consegnare anche il secondo parziale al serbo.
La partita che sembrava essersi riaperta a metà secondo set adesso pare definitivamente chiusa. Solo due volte su venti del Potro ha recuperato due set di svantaggio (con Cilic nella memorabile finale di Davis e con Thiem negli ottavi agli US Open lo scorso anno), Nole dal canto suo non ha mai perso una finale slam in vantaggio di due set, cinque vittorie su cinque. La fiducia del serbo è però ancora instabile, ancora una volta va in vantaggio di un break in modalità RoboNole per poi incepparsi (senza togliere parte del merito a del Potro che continua generosamente a sfoggiare deliziosi colpi) e dover ripartire ancora dal 3 giochi pari. Gli pesa probabilmente voler dimostrare che Wimbledon non è stato un caso. Il buio passa per sua fortuna subito, ancora una volta con opportuni tentativi di verticalizzare il gioco e comunque con un avversario che di benzina e convinzione ha ormai poco. L’ennesimo smash vincente chiude la partita dopo più di tre ore di gioco. Una buona conferma di un colpo che, come detto, in passato aveva tanto lasciato a desiderare. Ma soprattutto la conferma su se stesso, sul campione che si è definitivamente ritrovato, grazie all’aiuto di chi per primo lo aveva portato al successo, Marian Vajda, e che tornando nel suo staff in primavera lo ha salvato dalla dieta vegana e dalle pratiche spirituali. Queste le parole rilasciate da Vajda in un’intervista qualche mese fa ad una rivista slovacca “Il tennis non può essere basato sulla filosofia. È uno sport uomo contro uomo. Se vuoi essere il migliore, devi fare ripetizioni in allenamento, giocare ed essere forte mentalmente. Quando vedi l’avversario, devi concentrarti su dove colpire la palla, non pensare al Buddha”.
Con questa vittoria Djokovic scalza del Potro dal numero 3 in classifica ATP ed è secondo nella Race to London a poco più di mille punti da Nadal. Il numero 1 a fine stagione potrebbe non essere una chimera.
In lacrime del Potro a fine partita, ma oltre all’ortodossa resa delle armi di rito all’avversario spende parole di grande amicizia nei confronti di Nole, “un amico che è la persona nel circuito che più voglio vedere vincere, anche se mi dispiace se ho perso”.
Affetto ricambiato da Nole che durante la premiazione ricorda i loro momenti difficili. “L’intervento di febbraio mi è servito, ho capito cosa vuol dire quello che ha provato Juan Martin. Impari dalle difficoltà, quando hai dubbi. Ho cercato di prendere il meglio da questa situazione e ringrazio l’amore delle persone che ho al fianco”.
Gli ricordano infine che ha raggiunto Sampras a quota 14 Slam e commenta “Speravo fosse qui. Pete ti voglio bene, sei il mio idolo. Spero di vederti presto”.