di Daniele Rossi
Si presenta in tuta, con qualche capello grigio e il volto sereno. Nella sala interviste principale del Billie Jean King Tennis Center di New York, Francesca Schiavone annuncia il suo ritiro ufficiale all’eta di 38 anni.
Ha un discorso preparato in inglese, ma come sempre Francesca va oltre gli schemi: “È un momento molto importante della mia vita. Sono arrivata alla decisione di lasciare il tennis con il cuore, perché la mia mente quando sono arrivata qui mi diceva ‘per favore, vai in campo, lotta per sconfiggere le avversarie più giovani’. Il mio cuore però mi dice che sono in pace, sono molto felice della mia carriera e della mia vita. Mi sveglio la mattina e mi sento bene“.
Francesca non parla mai con leggerezza, anzi, ogni sua parola è pensata e pesata su misura. “Avevo due sogni: vincere il Roland Garros ed entrare in top 10. Il cuore ha bisogno di sogni e adesso voglio vincere uno Slam da coach“.
La Leonessa ha esaudito i suoi sogni e oltre, non solo con quell’indimenticabile trionfo Slam del 2010, ma anche con la finale persa da Na Li l’anno successivo e l’epico 16-14 con la Kuznetsova agli Australian Open 2011. Ha firmato la storia del tennis, non solo con i risultati, ma anche con il suo stile vintage, fatto di tocco e strategia, mano e agilità, mente e passione. Un gioco praticamente unico, che rendeva Francesca immediatamente riconoscibile e faceva innamorare il pubblico.
Aveva anche personalità, tantissima, sia sul campo che fuori, con quelle risposte nelle interviste a volte taglienti e piuttosto scomode, figlie della sua genuinità che ogni tanto faceva spazio ad una certa protervia costruita come un muro di fronte alle critiche. Aveva il carisma di una campionessa, che ha firmato il primo successo femminile in uno Slam e che ha fatto da apripista per il periodo d’oro del tennis rosa.
Nel 2010 ero un cronista giovane, inesperto ed entusiasta e mi recai a Parigi per seguire il mio primo torneo dal vivo. Prima di partire chiesi al mio direttore cosa avrei dovuto fare in caso di interviste ai giocatori italiani: “Tu vai nella seconda settimana, quindi non si porrà neanche il problema”, rispose lui. Del resto, chi lo avrebbe mai immaginato? E invece, la ‘Schiavo’ si faceva spazio partita dopo partita, mentre le favorite uscivano una ad una ed avanzava in tabellone un’altra outsider, Sam Stosur, capace di stendere in serie Justine Henin, Serena Williams e Jelena Jankovic.
Francesca si sbarazzava della Wozniacki e poi approfittava del ritiro di Elena Dementieva, per approdare ad una finale che mi appariva fantascienza, quasi quanto quella applicata da Robin Soderling, che nei quarti aveva posto fine alla leggendaria striscia di semifinali consecutive di Federer negli Slam.
“Questa fa i buchi per terra, la vedo molto dura”, sentenziò il direttore, che nel frattempo mi aveva raggiunto a Parigi per quello storico evento. Poi il match, seguito nella zona stampa con tutti i giornalisti italiani, impossibilitati a mantenere il contegno richiesto. Francesca vinse, quasi senza sforzo e si sporcò il candido vestitino di quella terra magica.
Neanche il tempo di realizzare, che dovetti filare in sala stampa a scrivere il pezzo per il sito: un evento del genere necessitava di tempestività. Poi le interviste, il panino a cena e una capatina al ristorante italiano dove Francesca celebrava il suo trionfo.
“Festa dalla Navratilova?” ci chiese un personaggio ammanicato con tutti nell’ambiente. “Di corsa”, pensai io, ma il direttore mi rispediva in albergo che “domani c’è la finale maschile”. La festa della Navratilova l’ho solo sognata, ma quel Roland Garros 2010 rimane un colpo di fortuna incredibile e un’esperienza indimenticabile
A proposito di Samantha Stosur, per ironia della sorte, sarà proprio lei l’ultima avversaria affrontata in carriera dalla Schiavone. E’ successo a luglio, al primo turno del torneo di Gstaad, in un contesto che non rende merito alle due giocatrici, ma che dall’altra parte testimonia l’ovvietà del tempo che passa e che non si ferma per nessuno.
Francesca Schiavone è stato un dono per il tennis, soprattutto per quello italiano, peccato che la sua carriera da coach stia maturando a Miami, con ragazzi di tutte le età e la nazionalità. “Con la Federazione non ho rapporti” ha detto Francesca con la solita schiettezza; i motivi rimangono dietro le quinte, ma è un peccato mortale rinunciare ad una campionessa così innamorata del tennis. La sua competenza e la sua passione sarebbero stati vitali per crescere e dirigere i nuovi ragazzi e le nuove ragazze italiane, ma purtroppo, per ora, a godere i frutti del suo lavoro non saremo noi.
La Leonessa ha smesso di cacciare, ma il suo ruggito non si affievolirà mai.