Roger Federer e il mito dell’immortalità

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Di Paolo Rossi

 

Ogni finale Slam lascia ricordi ed immagini indelebili il cui significato trascende col tempo il risultato di campo. La vittoria numero 20 in un Major centrata da Roger Federer, la sesta nella tappa Slam di Melbourne, segna un limite sportivo tennistico che forse non sarà mai eguagliato. Le probabilità di vedere tra i componenti della Next Gen un tennista capace di avviare una carriera simile a quella del campione svizzero sono ridotte e richiede una buona fantasia orientata al futuro.

Ogni epoca ha i suoi protagonisti ma il giocatore che ha ricevuto da oltre 15 anni il testimone da fenomeni del calibro di Agassi e Sampras tanto per citarne due,  è solo lo strabiliante Roger, un testimone mantenuto saldo anche nei momenti in cui questo poteva essere ceduto.

Gli ultimi 12 mesi di Federer sembrano toccati dagli dei, voluti dal cielo affinché lo svizzero, già leggenda, si trasformasse in mito. Chissà se anche nel Tennis transita nello spazio celestiale sopra i campi una qualche divinità pallonara simile a quella che il giornalista Gianni Brera inventò negli anni settanta per il calcio. La dea, definita Eupalla, era la protettrice del bel gioco. Ispirava, nelle cronache di Brera ricche di metafore, solo i migliori giocatori a compiere magie e a calciare traiettorie vincenti.

Roger Federer compie miracoli con la racchetta, ha fede nei suoi mezzi e nel suo talento infiniti, ma ha desiderato qualcosa che pareva improbabile da realizzare. Dopo l’uscita di scena da Wimbledon 2016, con un ginocchio da riassemblare ed un morale da ricostruire quanti addetti ai lavori immaginavano che avrebbe realmente risollevato un trofeo dello Slam? Pochi. Eppure, dopo uno stop durato 6 mesi in cui ha resettato gioco, mente e fisico, lo ha rifatto per ben tre volte, in modo clamoroso e straordinario.

L’Eupalla del Tennis, se esiste, lo ha scelto come eletto.

L’epilogo della finale di Melbourne mentre Roger mostrava la sua esultanza prima e durante le premiazioni, ha scatenato nel pubblico un turbinio di emozioni. Addirittura Rod Laver dalla tribuna autorità impugnando il suo smartphone ha voluto fotografare la scena. Lui, Rod Laver detto The Rocket, autore unico di due Grand Slam a distanza di ben sette anni l’uno dall’altro, 1962 e 1969, ha voluto fermare quell’attimo per renderlo eterno.

Come immutabile appare quel sollevare verso il cielo i trofei dello Slam vinti da Roger, gesto ovvio, ma con profonde radici ancestrali e arcaiche. Una gestualità dal significato duplice: dedicare all’alto la vittoria come segno di gratitudine e auspicare nuovi influssi divinatori per raggiungere altri e nuovi trionfi.

Federer, ormai leggenda, ha rinnovato il mito più antico dell’uomo: quello dell’immortalità.