di Daniele Rossi
”Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera”
Così recita l’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel 2017 la libertà di espressione non c’è. Non stiamo parlando della Corea del Nord, della Cina, della Bielorussia o dell’Arabia Saudita. Stiamo parlando del mondo globalizzato di oggi, in cui a dominare non sono ideologie totalitarie, ma un Pensiero Unico a cui è necessario allinearsi. Chi non si allinea non viene gettato in una prigione o in un gulag, ma subisce la gogna mediatica, gli insulti sui social, post di strali su Facebook, la ghettizzazione a mezzo stampa. Un’esclusione che parte dal web, ma che poi si concretizza anche nella vita reale.
Chi non la pensa come il Mondo vuole è automaticamente una brutta persona: ignorante, razzista, fascista, nazista, populista, estremista e chi più ne ha chi ne metta. Ed è curioso notare che i più strenui difensori della democrazia e della libertà di parola, siano anche i maggiori censori delle idee altrui.
Il principio è infatti diventato questo: puoi dire quello che vuoi ma solo la pensi come me.
Margaret Smith Court tra il 1960 e il 1975 ha vinto la cifra record di 62 titoli del Grande Slam: 24 singolari, 19 doppi femminili e 19 doppi misti. Nel 1970 divenne la seconda tennista a vincere tutti e quattro i singolari del Grande Slam nello stesso anno.
Tre righe per riassumere una carriera straordinaria di una campionessa che ha fatto la storia di questo sport. Ha fatto talmente la storia che nel gennaio 2003 Tennis Australia ha deciso di ribattezzare lo show court di Melbourne Park ‘Margaret Court Arena’.
La 75enne australiana ha sempre avuto una fortissima fede cristiana che oggi si esplicita con opinioni sull’omosessualità molto radicali e soprattutto tremendamente impopolari. Margaret Court non la pensa come il Mondo. Margaret Court la pensa come Margaret Court. E quindi il Mondo si è rivoltato contro Margaret Court.
Sono state tantissime le giocatrici ad esprimere tutto il possibile biasimo contro l’ex campionessa, da Martina Navratilova a Richel Hogenkamp, da Casey Dellacqua a Samantha Stosur, fino ad arrivare a Billie Jean King. L’ultima in ordine di tempo non è stata una tennista, ma la cantante Tina Arena, popstar molto famosa in Australia. Durante la premiazione della Newcombe Medal, ha suggerito ancora una volta come sia necessario cambiare la denominazione di quel campo, aggiungendosi ad un elenco già piuttosto nutrito.
L’opinione pubblica ha cavalcato la protesta e adesso la pressione sulla Federazione Aussie aumenta man mano che lo Slam Down Under si avvicina. Tennis Australia per ora resiste: ‘Come leggenda di questo sport, rispettiamo i risultati di Margaret Court e i suoi record – recita l’ultimo comunicato – Le sue opinioni restano sue e non si allineano con i valori di Tennis Australia di uguaglianza, inclusione e diversità’
Tennis Australia sottolinea un punto che in molti dimenticano o volutamente trascurano: ‘Her personal views are her own’. Le sue sono opinioni personali. Margaret Court dovrebbe essere libera di dire quello che vuole. Come Martina Navratilova e Billie Jean King sono libere di essere gay, Margaret Court è libera di dire che…i gay non le piacciono. Ma Margaret Court non è libera di dirlo. Il Mondo ha deciso non solo come la deve pensare Margaret Court, ma come la devono pensare tutti.
La dittatura del Pensiero Unico, è come un virus che si è espanso in tutti i settori: dalla politica all’economia, dalla storiografia alla vita quotidiana, dalla tv allo sport.
Come possiamo pretendere che gli atleti professionisti dicano qualcosa di diverso da ‘I played well and I will try my best’ se il Mondo è pronto con i fucili spianati (o con gli smartphone in mano) a condannare qualunque tipo di pensiero indipendente?
Il mese scorso, 25 giovani giocatori si sono ‘laureati’ alla cosiddetta Atp University, un corso di tre giorni in cui l’Atp si prende la briga di istruire i virgulti del tennis riguardo vari argomenti. Oltre a cose sicuramente utili -come il piano pensionistico Atp o gli ammonimenti a stare lontano da doping e scommesse- una grossa parte ha riguardato la gestione dei Media. Ora non abbiamo modo di verificare i contenuti nel dettaglio, ma siamo pronti a scommettere che ‘esprimere la propria opinione’ sia in cima alla lista del ‘NOT TO DO’.
Non arriviamo a dire che l’Atp sia corresponsabile del Pensiero Unico, ma è certo che quest’operazione rischia di far perdere (ulteriore) spontaneità e indipendenza ai giovani giocatori che si affacciano nel Tour.
Lamentarsi dei giocatori/automi controllati dai manager o agenzie affini, significa lamentarsi delle stesse persone/automi che stiamo diventando grazie ad un sistema che punta tutto sulla concessione di maggior libertà individuale tramite i diritti civili, in modo che non ci si accorga che nel mentre si negano gli stessi principi che i paladini della democrazia avevano affermato, quelli di libertà di stampa, di pensiero, di opinione.
Se Tennis Australia dovesse cedere e cambiare nome al campo, sarebbe l’ennesima sconfitta del pensiero indipendente, nonché una vittoria per quel Mondo che ha già deciso cosa è giusto o sbagliato, dell’ipocrisia, del politicamente corretto. Ciò che è stato corretto sono le nostre menti, obnubilate e sempre più impaurite, per non dire incapaci, di produrre idee, giudizi, opinioni, vedute.
Già l’anno scorso gli Australian Open presero la tragica decisione di sbarazzarsi dello storico logo del giocatore che serve (si pensa ispirato a Stefan Edberg) in quanto sessista (perché il giocatore era maschio…), sostituendolo con un ‘AO’ di rara bruttezza e banalità.
Speriamo che, per una volta, la storia non si ripeta.