Next Gen sì, Next Gen no: l’analisi del nostro inviato

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Da Milano Daniele Rossi

 

Archiviata la prima edizione delle Next Gen Atp Finals, è tempo di bilanci. Si trattava di una novità assoluta, in una location inedita, con regole innovative e giovani giocatori sconosciuti al grande pubblico. C’era il rischio di un flop commerciale, di una pagliacciata, di un’esibizione senza senso. Niente di tutto ciò. Nel complesso si è trattato di un esperimento riuscito, al netto di qualche difetto da limare: vediamoli nel dettaglio.

 

NEXT GEN SI

Il pubblico: la Fieramilano ha offerto un bel colpo d’occhio per tutta la settimana, con i picchi del tutto esaurito di venerdì e sabato. Si è trattato di un pubblico competente e appassionato: segnale che Milano ha ancora fame di tennis.

L’atmosfera: l’Atp ha cercato di replicare il più possibile l’atmosfera dell’O2 Arena e nel complesso possiamo dire che ci sia riuscita. Era importante che il pubblico percepisse che si trattasse di un torneo vero e che si sentisse coinvolto e così è stato.

L’impegno dei giocatori: forse responsabilizzati dall’Atp o semplicemente stimolati dalle importanti cifre di denaro in ballo, gli otto partecipanti non si sono risparmiati, prendendo sul serio la competizione e giocando sempre al massimo per vincere. Considerando le regole e il fatto che il torneo non desse punti, un successo.

No Lets, Shot Clock, Hawk Eye Live: qui si entra più nel campo della soggettività. A parere di chi scrive, queste tre innovazioni (già viste altrove per altro) hanno dimostrato tutta la loro funzionalità. Il No Lets non servirà a velocizzare particolarmente il gioco ma equipara il servizio al resto dei colpi. Qualcuno perderà una partita per colpa di un servizio deviato dal nastro? Pazienza, fa parte del gioco. Lo Shot Clock di 25 secondi invece servirà eccome a tagliare i tempi morti. Considerando poi che è a descrizione dell’arbitro, si ha anche la giusta elasticità. Nadal e Djokovic si prenderanno il warning perché ce ne mettono 27? Bene, impareranno a fare più in fretta. L’Hawk Eye Live toglie l’elemento umano del giudice di linea, ma è affidabile e non ammette discussioni. Certo, sarà difficile vederlo a breve per ovvi motivi economici e logistici. Quali tornei potranno permetterselo? Gli Slam e neanche su tutti i campi.

 

NEXT GEN NO

La location: considerando che si partiva da zero e che fino a pochi giorni prima il padiglione 1-3 della Fiera era un’enorme spazio vuoto, il risultato è stato eccellente. La Fieramilano però è lontana dal Centro e scomoda da raggiungere. Se una partita si prolungava oltre la mezzanotte tornare con la Metro poteva essere una grosso problema Si tratta poi di un impianto enorme in cui l’evento è stato segnalato pochissimo. Alcuni addetti della Fiera non sapevano neanche cosa fosse. Chi voleva andare in macchina e stare lì tutto il giorno era costretto a sborsare la bellezza di 17 euro per il parcheggio. Doveva essere una soluzione temporanea in attesa del trasferimento al PalaLido, ma il presidente dell’Atp Chris Kermode si è innamorato della Fiera e ha dichiarato che nel 2018 si tornerà qui.

I jingle: un’americanata di cui non si sentiva bisogno. Effetto sonoro e scritta enorme sul vidiwall per palle break, ace, deciding point, set point, match point…Alla lunga fastidiosi e anche inutili.

La Wild Card italiana: giusto concedere un posto ad un giocatore italiano, ma forse era più equo darlo basandosi sul merito di tutta la stagione e non di un mini-torneo spalmato su tre giorni. Quinzi ha fatto un figurone, ma è anche vero che quelle qualificazioni si sono giocate in condizioni molto diverse dal torneo vero e proprio. Una stortura su cui la Fit dovrebbe riflettere.

Set breve a 4 e No Ad: le più discusse e le più impattanti sul gioco. Questo formato di punteggio distorce completamente il tennis come lo conosciamo con una serie di conseguenze a cascata. Il set breve costringe giocatori e spettatori ad una continua situazione di stress, facendo mancare quell’hype per la fine del set. Si verificano troppi tie-break e una volta subito un break rimontare è praticamente impossibile. Il Deciding Point è emozionante, ma penalizza troppo il servitore e paradossalmente toglie imprevedibilità al gioco. Il game finirà sicuramente al settimo punto e buonanotte. E’ un tennis ridotto troppo all’osso. In un futuro (si spera remoto) si potrà pensare di inserire una delle due regole, ma entrambe svilirebbero il gioco riducendolo ad una sparatoria. Cercare di capire come velocizzare il tennis è un dovere, trasformarlo in qualcos’altro è un crimine.

 

I BOCCIATI

Jared Donaldson: l’americano è forse quello che ha preso meno seriamente la competizione. Probabilmente anche scarico fisicamente ha raccolto tre sconfitte senza mai impensierire gli avversari.

Karen Khachanov: tonfo pesante del bombardiere russo, che ha gettato al vento la qualificazione alla semifinale facendosi rimontare da Coric due set di vantaggio. Al momento i difetti (rovescio, spostamenti, apertura di diritto molto ampia, zero sagacia tattica) sembrano più dei pregi.

Borna Coric: annunciato come uno dei favoriti, il croato ha giocato benissimo nel girone per poi perdere malamente con Rublev in semi. Di sicuro non stava bene (tanto che non ha giocato la finale terzo/quarto posto), ma da lui ci si aspettava comunque di più.

Andrey Rublev: era testa di serie numero 1 e uno dei più aspri critici delle nuove regole. Anche lui si aspettava di giocare una sorta di esibizione, ma una volta messo piede in campo si è reso conto che i suoi colleghi non gli avrebbero regalato nulla. Alla fine ci teneva più di tutti, bastava vedere il suo volto dopo la finale. Quando spinge -soprattutto col diritto- fa paura, ma deve ancora mangiare tanto pane duro prima di poter pensare di arrivare davvero in alto. 

 

PROMOSSI

Gianluigi Quinzi: il pericolo che fosse l’anello debole del gruppo c’era e invece il marchigiano ha venduto cara la pelle in tutti i match, regalando al pubblico di Milano due delle partite più emozionanti della settimana. Speriamo che sia stato un trampolino di (ri)lancio per una carriera ancora tutta da scrivere.

Denis Shapovalov: è uscito nel girone è vero, ma lo ha fatto perdendo contro il futuro vincitore del torneo e al tie-break del quinto set con Rublev. Il suo tennis però è una gioia per gli occhi e il canadese è da coccolare come un panda in via d’estinzione.

Danil Medvedev: se lo aspettavano in pochissimi (è stato l’ultimo a qualificarsi) e invece il russo ha giocato un signor torneo. Ragazzo simpatico e intelligente, col rovescio fa quello che vuole, mentre il diritto è da mani nei capelli. Esibisce un tennis piacevole, urge però mettere su un po’ di muscoli.

Hyeon Chung: più che uno studente, è sembrato un Professore, come è già stato soprannominato durante la settimana. Ad impressionare, oltre i colpi e la tenuta atletica (fisicamente è un toro) è stata la testa. La forza mentale e la concentrazione del coreano sono stati fattori decisivi. Non è un personaggio e non strappa l’applauso facile, ma ha già tutto per rendere nel tennis dei grandi.